venerdì, ottobre 07, 2005

Tentativo di uscita dall’Infernotto

Dunque. Allora. Ecco.
Ne parlo o non ne parlo? Me lo chiedo da giorni. Le cose che bisogna dire vanno dette, e quelle che è invece meglio tacere bisogna... dirle. A questo serve un Blog. Col Blog ci si mette in piazza, senza reticenze. Non c’è nulla a perdere in un Blog, è un gioco, un’avventura, una provocazione, una traccia di libera informazione, e molto altro ancora.
Quindi, ne parlo.
L’Herpes Zoster, o Fuoco Sacro, è una brutta bestia, è dimostrato. Può essere anche una bestia bruttissima, orribile, e il demonietto può trasformarsi nel diavolaccio osceno raffigurato in una cappella, sempre chiusa, della Basilica di S. Petronio a Bologna. Diciamo che, per fortuna, io non sono uscito dallo stadio intermedio, e non oso pensare alle sofferenze patite da chi si è trovato nello stadio successivo.
Il fatto è che – e lo dicono tutti, ma proprio tutti, tutti – dal Fuoco non si guarisce se non ci si fa segnare. Segnare, proprio così. A Bologna, in Emilia, terre appartenute allo Stato Pontificio, vi è una “fattucchieria”, un ricorso ai riti magici, alle “fatture” che uno studioso, un sociologo, un antropologo, potrebbe studiare per anni. Non credo che in nessun’altra regione d’Italia vi sia un tale ricorso alla magia. Per esempio questa storia di farsi segnare contro il Fuoco è sconosciuta nella levantina Puglia, e anche nel cattolicissimo, austro-ungarico Trentino. Ma qui è la legge. E se uno rifiuta, se fa l’orgoglioso, se fa lo “sburrone”si pone fuori dalla legge. “Se non ti fai segnare dal Fuoco non guarisci” mi ha detto un’amica. Non è una donnetta credulona, è un’insegnate razionalista, di solide idee di sinistra, atea, che non manda la figlia a catechismo; ma non ha dubbi, senza la segnatura non si guarisce dal Fuoco. “E’ così” dice, allargando le braccia. Dice anche che alcuni medici consigliano ai pazienti di andare dalla guaritrice, e forniscono pure l’indirizzo. “Dalla guaritrice? Possibile?” “Lo so” dice, “è paradossale, ma devi essere tranquillo: se non ti fai segnare il Fuoco non va via”.
Dalla guaritrice. Dalla fattucchiera. “Non sono fattucchiere” chiarisce. “Non chiedono soldi. Neanche un euro. Lo fanno perché hanno, o credono di avere, una missione”.
Passano un paio di giorni, ingoio pilloloni di antivirale, e altri pilloloni di antidolorifico. Cosa rischio a farmi segnare? Cosa perdo? Un bel niente. Se ci credo è tutto a posto, e se non ci credo non porterà nulla di male. E allora... è un tarlo che entra nel cervello, per esserne immuni bisogna avere un certo tipo di mentalità scientifica, essere sereni, granitici. Tutto ciò che io non sono. Io sono il dubbio vivente, l’Insicurezza incarnata sulla Terra. Così chiedo l’indirizzo di una guaritrice alla mia amica, e il numero di telefono.
E’ una donna di 92 anni che ha salvato, dice la mia amica, molte persone aggredite con inaudita violenza dal Fuoco. Telefono il giovedi mattina. La donna parla lenta, ma precisa. Dice che non può “fare il trattamento” prima di una settimana, perché per due giorni ha tutti gli spazi impegnati (è attiva solo fino alle 7.45 del mattino, perché dalle 7.46 è senza poteri) e dopo deve sottoporsi a una terapia. “Ah” faccio. Una settimana? E intanto il Fuoco che fa? Aspetta? Perché adesso questa operazione mi sembra assolutamente indispensabile, vitale per la guarigione. Senza, il Fuoco mi mangerà vivo. Mi vedo steso sul letto, il letto di un ospedale da campo di Madre Teresa di Calcutta, ricoperto di piaghe, gemebondo, delirante. Lei sembra leggermi nel pensiero. “Però intanto lei non può rimanere così. Quindi venga stasera alle 18, che lo fermo per tre giorni. Questo posso farlo”. Ah, almeno lo ferma, anche se solo per tre giorni.
Alle 18.00 suono il campanello di una palazzina sui colli, in un quartiere tranquillo. Mi apre un uomo di circa cinquant’anni coi capelli grigi, dice “venga, venga”. Mi fa entrare in una cucina con la tv accesa. Sul fornello un microscopico pentolino bolle allegro. Dopo pochi secondi arriva lei. Non dimostra tutta la sua età: potrebbe avere ottanta anni, forse meno. Sarà per i capelli tinti, per lo sguardo vigile, per il corpo ancora in tensione, ma non sembra una novantenne. Mi fa accomodare in un salotto, mi chiede di mostrarle la parte malata. Mentre mi tolgo maglia e camicia le dico che con tutta probabilità il Fuoco è esploso dopo una terapia di cortisone che abbassa le difese, ma lei taglia corto: “sì-sì” fa. Non gliene importa nulla, vuole solo vedere. Non le importa come mi chiamo, dove abito, quanti anni ho, per lei sono un organismo che il Fuoco ha scelto di aggredire, un organismo da curare con le sue arti, nulla di più. Si avvicina e, senza occhiali, esamina le piaghe. “Sì” dice. Guarda anche con una pila, a lungo. “Sì” ripete. “E’ maschio e femmina, sta fiorendo, ed è tamugno”. Tamugno in bolognese significa duro, testardo, impegnativo. “Adesso lo fermo per tre giorni” dice, e prende da una credenza una piccola scatolina. La apre e da un batuffolo di cotone estrae una fede nuziale. La infila nel dito indice e fa dei segni. Non vedo quali segni, perché è alle mie spalle, ma percepisco i movimenti. Credo che siano segni a croce. L’operazione non dura più di tre minuti. Posso rivestirmi, mentre lei ripone con cura la fede nella scatolina. Restiamo d’accordo che giovedi prossimo, alle 7.30 in punto, sarò qua. Esco, la saluto, ma non è interessata a dare la mano e cose del genere. L’uomo, che è suo figlio, è seduto davanti alla tv, su una sedia. Sul fuoco il pentolino continua a bollire.

Dopo due giorni le piaghe vanno via. Di colpo e completamente. Ma il dolore resta. Lancinante, perforante, che mi buca la spalla e il collo, anche perché non posso continuare a imbottirmi di antidolorifici oppiacei. Il punto è: le piaghe sono sparite per il trattamento della signora o per gli antivirali? Non lo saprò mai, temo. Lei l’ha “fermato”, ma fermarlo significa mandare via le piaghe?
Passa la settimana, mi trascino per strade di negri, affamato nudo e isterico col mio dolore affilato che non mi fa dormire la notte.
Il giovedi mattina alle sette e trenta suono il campanello. Mi apre il figlio, dice “venga venga” e mi fa entrare in cucina. La Tv è accesa sulle previsioni del tempo. Dopo qualche secondo si spalanca la porta del soggiorno ed esce una signora elegante e trafelata. Dice “arrivederci” ed esce di getto. La signora-guaritrice mi vede, dice di entrare mentre lei va a lavarsi le mani, perché, apprenderò, dopo ogni trattamento le mani vanno lavate accuratamente, per mandare vie le energie negative delle malattie, così come le parti trattate non vanno lavate per almeno una settimana, per non lavare anche le energie positive. Entro, mi siedo sulla solita sedia, mi tolgo maglia e camicia. Lei mi guarda la spalla, dice “ma che lavoro, sono andate via! Bè, l’abbiamo fermato... però è messo bene, davvero bene!” Poi prende la fede nuziale, si fa il segno della croce e inizia coi gesti misteriosi che non vedo. Tre minuti, forse quattro, non di più. Dice che mi posso rivestire e, intanto che mi abbottono la camicia dice che “quella di prima”, cioè la signora che mi ha preceduto, ha un brutto eczema sulla faccia, e insiste per truccarsi. “Si vuole truccare!” esclama, con una sorta di esasperazione. “Cosa posso farci io? Cosa posso dire? Che si trucchi!”
L’indomani, venerdi, alle sette e trenta, suono il campanello. Mi apre il figlio, che dice “venga venga” e mi fa entrare in cucina. Dopo qualche secondo si spalanca la porta del soggiorno ed esce un’altra signora elegante, che esce di getto come la signora di ieri mattina. Entro, mi metto a torso nudo, la signora arriva, prende le fede nuziale, fa i gesti. Poi, mentre mi rivesto, sparla anche della signora di oggi. Dice che suo marito ha ingoiato un dente d’oro, e allora? Lo farà quando va in bagno, cosa può farci lei? Quindi quella signora, prima di andare al lavoro, forse in banca, o in una compagnia di assicurazioni, è andata dalla guaritrice perché suo marito ha inghiottito un dente. Stamattina è più loquace del solito, dice che il Fuoco va fermato in tempo prima che “vada giù”, perché se si infila lungo il nervo sono guai: se lo mangia, lentamente, e poi aggredisce gli organi interni, “fino alla morte”. Poi mi indica una poltrona e dice che “lì sopra” c’è stato un poveraccio coi piedi in alto, perché il Fuoco “gli aveva preso tutto il sesso”. Deglutisco. Di nuovo lei mi legge nel pensiero: “no, ma non è il suo caso. L’abbiamo fermato in tempo”. Ah, meno male.
L’ultimo giorno, alle sette e trenta, sono davanti alla sua porta. Mi apre il figlio, che dice “venga venga” e mi fa accomodare in cucina. Si spalanca la porta del soggiorno, esce una terza signora elegante, fugge via a testa bassa. Entro, mi spoglio, mi siedo. La guaritrice ripete il rito, la fede, i gesti. Poi come al solito mi informa sulla signora che è uscita: “quella là” dice, indicando la porta, ha il figlio con delle piaghe sotto i piedi. Dico io, ma portatelo dal dottore!” “Perché” chiedo, “non l’hanno portato?” “Macché!” esclama. “Fatelo vedere, le ho detto, cosa volete che faccia io?”. Quindi quella signora non va dal pediatra per le piaghe del figlio, ma dalla guaritrice. Anche questa è Bologna, anche questa è l’Emilia.
Bene, abbiamo terminato. Le porgo la busta bianca dove ho infilato alcune banconote, un’offerta libera, diciamo. Lei la prende, ringrazia e la posa con grande tranquillità e dignità sulla tavola. Ci salutiamo. Mi fa gli auguri, ma è serena, per lei io sono guarito, o sulla via della guarigione.
Sono guarito? E’ passata una settimana dal trattamento, le piaghe sembrano definitivamente scomparse, ma il dolore continua a martoriarmi. E’ normale ha detto il medico, ci vuole tempo; ci vuole tempo ha detto la guaritrice. Forse non saprò mai, non riuscirò mai a decidere se l’Herpes è in via di risoluzione per gli antivirali o per la segnatura. Gli amici non hanno dubbi: è stata la segnatura; senza, avrei ancora la pelle ricoperta di piaghe, che magari si sarebbero estese ad altre parti del corpo.
Così dicono, così forse è. Comunque sia, è andata.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Shakespeare dice che in cielo e in terra ci sono più cose di quanto la mente ne possa contenere.
Si dice anche che la fede può spostare le montagne. Non è vero, naturalmente: ma potrebbe obnubilare a tal punto il nostro pensiero e il nostro modo (razionale) di “sentire” che potremmo ritrovarci davvero più avanti sulla via quasi senza accorgercene.
La malattia, in ogni caso non é mai cosa per sole medicine.
Ach… l’epoché, l’husserliana sospensione del giudizio…

maline

Anonimo ha detto...

hai fatto bene a parlarne, anche perche' il tuo racconto e' bello, la tua storia simile a quella di tante altre persone, qui in romagna, che si vergognano a parlarne...
la signora ciacarona, i suoi riti, l'acqua che bolle allegra, il figlio che si ripete.
Mai letto Eraldo Baldini? Malaria?
Comunque sia, e' vero la malattia non e' mai solo cosa terrena...e la guarigione pure.